OS2018 - Abstract

Introduzione

I relatori di OrvietoScienza 2018 hanno predisposto degli abstract degli interventi in programma. Pensiamo di fare cosa utile mettendoli a disposizione degli studenti, come ausilio per preparare la loro partecipazione all'evento. Se non l'hai ancora fatto, ti invitiamo a registrarti nel nostro database. Ci aiuterai a capire chi è interessato alle nostre iniziative. Non temere, prendiamo l'impegno di non inviarti troppe email!

Rossana Valenti Violare la natura: sfide e paure nella letteratura di Roma antica

Rossana Valenti è Professore di Didattica del latino presso l'Università “Federico II” di Napoli.

Ha curato diversi progetti relativi alle applicazioni dell'informatica alla didattica delle discipline classiche. Si occupa della comunicazione contemporanea della classicità, sia attraverso una riflessione critica su temi e presenze del classico nella letteratura e nell'arte contemporanea, sia sperimentando nuove forme di divulgazione e di incontri, fuori dalle aule scolastiche e universitarie.

Attraverso la lettura di alcuni passi di autori latini, si metterà in rilievo l’atteggiamento complesso, talvolta contraddittorio, che gli antichi Romani hanno avuto nei confronti dell’ambiente, e dell’intervento umano su di esso.

Modi diversi di pensare la natura - talvolta guardata nella sua grandezza e nella potenza distruttiva, che stabiliscono il vero posto dell’uomo nell’universo, talvolta considerata una scorta di beni e di energie a totale disposizione dell’uomo - hanno lasciato a lungo le loro tracce nella nostra sensibilità di ‘moderni’.

Bibliografia:

Memorie dell'acqua e della terra intorno ai Campi Flegrei (Grimaldi & C)

Guido Chiesura Charles Darwin: dal terremoto ai lombrichi

Guido Chiesura è laureato in Scienze Geologiche all’Università di Milano. Si occupa da anni della diffusione delle opere geologiche di Charles Darwin. Ha tradotto per la prima volta in italiano le tre opere geologiche del naturalista inglese: “Barriere coralline”, “Osservazioni geologiche sulle isole vulcaniche” e “Osservazioni geologiche sul Sud America”. Ha tradotto per la prima volta in italiano, sempre di Darwin, il “Diario di bordo del viaggio del Beagle”

Charles Darwin è celebre soprattutto per la sua teoria della trasformazione delle specie vegetali e animali, uomo compreso (evoluzione). Ma Darwin ha maturato, nei primi anni della sua carriera scientifica, un’esperienza come geologo, che lui stesso ha sempre rivendicato di fondamentale importanza per lo sviluppo del suo pensiero.

Nel corso del suo celebre viaggio nell’emisfero australe (1831 – 1836) egli ha potuto sperimentare gli effetti di un terremoto (in Cile, febbraio 1835). Ne ha maturato una visione dinamica della Terra: continenti che si sollevano, isole vulcaniche che sprofondano nel mare, montagne che emergono dall’oceano, con conseguenti modifiche dei climi, dell’orografia dei continenti, della vegetazione e delle forme animali.

Questa concezione dinamica della Terra è stata il supporto fattuale della sua teoria evoluzionista.

Alla fine della sua gloriosa carriera rifletterà sull’opera degli umili lombrichi che incessantemente trasformano il suolo, contribuendo all’eterna e spesso oscura modificazione degli habitat, consegnandoci ambienti meravigliosi e fragili allo stesso tempo. Una fragilità spesso ignorata e violata.

Bibliografia:

Charles Darwin, geologo Soc. Geologica italiana

Darwin e il baobab Gaffi Editore in Roma

Marco Bresadola Coinvolgere i cittadini nella prevenzione sismica: il caso di Ferrara

Marco Bresadola è professore di Storia della scienza e Direttore del Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza all'Università di Ferrara. La sua ricerca riguarda principalmente le scienze della vita e la medicina in età moderna, con particolare attenzione per gli aspetti legati alle pratiche mediche e scientifiche nel contesto italiano tra Seicento e inizio Ottocento.

La riduzione del rischio sismico è un obiettivo molto articolato e non facile da raggiungere. Riguarda ogni singola casa, appartamento, luogo di lavoro. La complessità dei fattori in gioco e la numerosità degli attori coinvolti è elevata. Il campo di forze in cui ci si muove per innescare le pratiche di riduzione del rischio è caratterizzato, oltre che da potenzialità e pratiche collaborative, da tensioni e conflitti fra punti di vista (anche scientifici) e interessi non convergenti o addirittura contrastanti, spesso difficili da governare. Su questi temi il Laboratorio Design Of Science e il Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell'Università di Ferrara hanno condotto una ricerca dalla quale sono emerse utili indicazioni per realizzare politiche efficaci di prevenzione del rischio sismico.

Bibliografia:

Luigi Galvani. Devozione, scienza e rivoluzione Compositore

Popper Il Mulino

Ugo Leone Fragilità naturale e ignoranza umana

Ugo Leone, già professore ordinario di Politica dell’ambiente presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Napoli “Federico II”. Ha pubblicato su “Le scienze”, “Il Mattino”, “L’articolo”, “il manifesto”, “l’Unità”. Collabora a “la Repubblica” edizione di Napoli. Autore di numerose pubblicazioni in volume.

È un Paese fragile l’Italia e, se ce lo dovessimo scordare, ce lo ricordano ogni anno incendi, frane, alluvioni, terremoti e via disastrando. Questa fragilità si deve certamente alla naturale predisposizione della geologicamente giovane Italia, ma non meno alla umana ignoranza. Per cui si interviene a metter pezze e a turare falle, a sistemare al meglio i sopravvissuti sempre a disastro avvenuto. Disastro che si sarebbe potuto prevedere, se non nei tempi, almeno nei luoghi e nelle modalità di manifestazione se l’ignoranza del Paese che governano non fosse una caratteristica che gli uomini di governo si tramandano dal Risorgimento in poi. Lo ha detto Italo Calvino e l’ignoranza alla quale si riferisce è quella geografica tanto da indurlo ad auspicare lo studio obbligatorio della Geografia per ministri e sottosegretari.

Se contro la naturale fragilità c’è poco da fare c’è molto da fare con successo per prevenirne gli effetti calamitosi: potenziare la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica; informare correttamente sul come prevenire e come comportarsi nel corso di un evento; recuperare alla vita le “vittime superstiti” con la pratica della resilienza.

Tutto a tutela dei cittadini e del bene comune ambiente e territorio e anche per non continuare a ripetere che il disastro era annunciato e si poteva evitare.

Bibliografia:

Fragile. Il rischio ambientale oggi Carocci

Sicurezza ambientale Guida

Davide Pettenella Le foreste bruciano: un’occasione per riflettere su come gli italiani si rapportano con i propri boschi

Davide Pettenella svolge attività di ricerca presso la Facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Padova insegnando materie collegate all’economia e alle politiche di gestione delle risorse forestali. Ha lavorato per conto di ENEA, CENSIS, NONISMA e ha partecipato ad attività di studio promosse da: Banca Mondiale, FAO, Commissione Europea, Ministero degli Esteri in Paesi in via di sviluppo e ad economia in transizione.

Con più di 73.700 ettari persi all’anno nel decennio 2006-15, l’Italia è uno dei paesi dove bruciano più boschi nell’area mediterranea. Le cause di questo fenomeno vengono solitamente ricondotte alle condizioni meteorologiche e climatiche, quali aridità e vento, alla diffusione di comportamenti irresponsabili e alla scarsa prevenzione attiva. A queste cause andrebbero sommate motivazioni più strutturali connesse alle modalità in cui il settore forestale italiano è organizzato e gestito e al relativo assetto di governance e in particolare all’organizzazione delle istituzioni del settore. L’eccezionale diffusione degli incendi nel 2017 dovrebbe essere l’occasione non solo per riflettere sull’adeguamento degli interventi di pronto avvistamento e di spegnimento, azioni del tutto insufficienti per controllare il fenomeno, ma sulle cause strutturali e sulle soluzioni istituzionali che, in una prospettiva di lungo periodo, consentano di ridefinire il ruolo delle foreste nelle politiche di sviluppo rurale, di tutela ambientale, di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici.

Bibliografia:

Le risorse forestali della Lombardia. Nuovi sentieri di sviluppo tra tutela della biodiversità e promozione di attività economiche CIERRE

Pietro Greco Com’è cambiata l’idea di progresso dopo il terremoto di Lisbona

Pietro Greco Giornalista scientifico e scrittore. E’ direttore della rivista Scienza&Società del centro Pristem, dell’Università Bocconi, conduttore del programma Radio3Scienza e condirettore del web journal Scienzainrete. Ha diretto Master in Comunicazione Scientifica della SISSA di Trieste. Laureato in chimica, è stato Consigliere del ministro dell’Università e della Ricerca.

Il terremoto del 1° novembre 1755 colpì il mondo occidentale come un colpo di fulmine e trasformò per sempre la filosofia degli esseri pensanti». Il sisma è quello che distrusse Lisbona e fece tremare l’intera Europa. Chi parla è il fisico polacco Theodore Besterman (1904-1976), grande studioso di Voltaire (1994-1778).

Il filosofo illuminista francese aveva scritto un Poème sur le désastre de Lisbonne, in cui polemizzava con la filosofia del “tutto è bene” proposta autorevolmente nei suoi Saggi di teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell'uomo e l'origine del male, scritti nel 1705 dal grande filosofo e matematico tedesco, Gottfried Leibniz.

Due visioni del mondo diverse. E un terremoto che le discrimina.

Avvertendoci che non tutto va bene per Homo sapiens, in questo mondo.

Un terremoto ha cambiato la nostra idea di progresso

Bibliografia:

La scienza e l'Europa. Dal Seicento all'Ottocento L'Asino d'Oro

Francesca Bianco I vulcani italiani: pericolosità e percezione del rischio

Francesca Bianco fisica con un PhD in geofisica e vulcanologia, è direttrice dell'Osservatorio Vesuviano dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia

La penisola italiana è sede di importanti fenomeni di vulcanismo attivo che si presentano con diverse caratteristiche e differenti livelli di pericolosità vulcanica. Il distretto vulcanico campano, che comprende le aree attive del Vesuvio, dei Campi Flegrei e di Ischia, è riconosciuto essere uno dei distretti vulcanici a più alto rischio al mondo. Le ultime eruzioni nell’area risalgono a diverse centinaia di anni fa (per Ischia e per i Campi Flegrei) o all’ultimo periodo bellico (per il Vesuvio); per i vulcani siciliani (in particolare Stromboli ed Etna) che presentano eruzioni quasi continue, il rischio è minore. L’impatto sul territorio del diverso grado di urbanizzazione e della vulnerabilità degli edifici spiegano in parte questa differenza che è anche riconducibile alle tipologie di eventi attesi nelle aree vulcaniche napoletane. La difficoltà di far recepire in maniera coerente gli scenari vulcanici e le conseguenti azioni necessarie di mitigazione del rischio vulcanico rappresentano, ancora oggi, una delle grandi sfide di conoscenza e consapevolezza per il nostro paese.

Lorenzo Ciccarese Invertire il degrado ambientale globale e locale. L’approccio dei confini planetari e dello spazio operativo di sicurezza

Lorenzo Ciccarese Agronomo di formazione, inizia la sua attività di ricerca presso il Centro di Sperimentazione Agricola e Forestale (CSAF), occupandosi di viviamo forestale e piantagioni. Come visiting scientist presso l’istituto di ricerca Alice Holt Lodge della Forestry Commission, Regno Unito (2003), e presso l’Università di Scienze Agrarie di Uppsala, Svezia (2005), ha svolto ricerche sulla fisiologia delle piante forestali e sulle tecniche di forestazione. Dal 2000 in poi è stato lead author e reviewer di diversi report dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). Attualmente è Responsabile dell’Area per la Conservazione di Specie e Habitat e per Gestione Sostenibile dell’Agricoltura e delle Foreste presso l’istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), dove è stato componente eletto del Consiglio Scientifico.

È focal point nazionale della rete dei direttori delle agenzie europee per la conservazione della natura. É chair del Gruppo ‘Forest Plantations’ dell’International Union of Forest Research Organisations. Autore di circa 150 pubblicazioni scientifiche, dozzine di libri e vari video-documentari sui temi della conservazione della biodiversità. Collabora con diverse testate giornalistiche nazionali e scienzainrete.it

L’uso di risorse naturali (minerali, energia, terra, risorse genetiche, ecc.) su scala globale è aumentato rapidamente negli ultimi decenni. Questo aumento, dovuto in gran parte alla crescita della popolazione, allo sviluppo economico e ai cambiamenti dello stile di vita, è stato uno dei principali fattori di cambiamento del sistema terrestre e ha comportato un grave degrado ambientale.

Negli scorsi decenni sono stati proposti diversi concetti per esprimere la necessità di arrestare questo degrado ambientale, inquadrando l'impatto in termini di trasgressione dei livelli critici rispetto all'integrità del sistema. Rockström et al. (2009) e Steffen et al. (2015) hanno proposto e approfondito il framework dei planetary boundaries (PB) per monitorare le tendenze rispetto alle sfide ambientali critiche per il sistema terrestre. I due studi hanno individuato nove processi geologici, fisici e biologici che regolano la stabilità e la resilienza del sistema Terra, come pure le interazioni tra gli ecosistemi terrestri, marini e l’atmosfera. Tali processi sono i cambiamenti climatici, la trasformazione dei flussi bio-geo-chimici di azoto e fosforo, la riduzione dell’ozono stratosferico, la perdita della integrità della biosfera, la trasformazione di uso del suolo, il rilascio di nuove sostanze, il carico di aerosol atmosferico, il prelievo di acqua dolce, l’acidificazione degli oceani.

Il concetto dei planetary boundaries si fonda sull’idea che il pianeta operi all’interno di stati ben definiti e hanno proposto un confine planetario e uno spazio operativo di sicurezza per ognuno dei nove processi individuati. Il superamento di questi confini può innescare una cascata di effetti negativi, mettendo la vita umana e la civiltà in pericolo e alterando irreversibilmente la vitalità degli habitat e delle specie. Viceversa, restando entro questi confini, la vita e il benessere dei popoli può andare avanti.

Questi processi planetari sono rimasti sostanzialmente stabili dall’inizio dell’Olocene. Viceversa, dall’inizio dell’era industriale, che si fa coincidere con l‘invenzione nel 1750 della macchina a vapore, stanno subendo profonde modificazioni a causa delle attività umane. Le alterazioni di questi processi stanno imprudentemente guidando il sistema terrestre in uno stato molto meno ospitale, danneggiando gli sforzi per la prosperità delle società (umane e non-umane) del pianeta e portando a un peggioramento del benessere in molte parti del mondo, inclusi i Paesi ricchi.

Ma quali sono le metriche di questi confini? Come si fa a determinarli? E’ sufficiente tenere la concentrazione di CO2 in atmosfera al di sotto di 350 parti per milione per scongiurare rischi di pericolose interferenze con il sistema climatico? Quanto azoto molecolare possiamo sottrarre ogni anno dall’atmosfera e trasformarlo in forme ammoniacale senza alterare il ciclo dell’azoto? Quante specie animali e vegetali o quanta estensione di un bioma forestale possiamo permetterci di perdere senza compromettere l’integrità biologica del pianeta?

Mentre alcuni dei confini proposti sono relativamente semplici da definire poiché input e variazioni locali contribuiscono alla definizione di un limite planetario, viceversa altri (come ad esempio la trasformazione di uso del suolo e l’integrità biologica) sono ritenuti complessi proprio perché complessi sono i processi dei sistemi umani ed eco-sistemici e non sono facilmente associati a soglie globali o regionali provate e conosciute.

L’idea che si possa definire un set di planetary boundaries sta attraendo un grande interesse all’interno della comunità scientifica e sta diventando sempre più influente nel discorso politico internazionale sulla sostenibilità globale, in particolare nel contesto dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile.

Un nodo chiave è la capacità di tradurre i confini planetari in obiettivi nazionali e regionali. Districare la complessità socio-ecologica intrinseca nei confini planetari è un compito senz’altro complesso in quanto le interazioni biofisiche dei processi individuati non aderiscono ai confini politici o rispettano le condizioni sociali, devono essere applicati a scale via via più piccole e devono integrare le dimensioni biofisiche, socio-economiche ed etiche.

Il primo passo per tradurre i confini planetari nell'attuazione nazionale è analizzare gli schemi spaziali di questi processi dinamici, utilizzando i modelli dei sistemi terrestri e i dati che derivano dalle osservazioni e dalle misurazioni.

Il secondo passo è capire i driver sociali ed economici dei cambiamenti ambientali, che hanno le loro proprie dinamiche.

Il terzo passo riconosce che queste complesse dinamiche ecologiche e sociali interagenti hanno anche una dimensione etica. Affrontare le sfide di una condivisione equa dello spazio operativo sicuro globale significa riconoscere che i paesi hanno diritti, capacità e responsabilità diversi.

Alessandro Amato Terremoti e tsunami. Lezioni dal passato e modi per difendersi oggi (e domani)

Alessandro Amato, geologo e sismologo, è dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). È stato direttore del Centro Nazionale Terremoti e membro della Commissione Grandi Rischi. Ha coordinato e partecipato a numerosi progetti di ricerca nazionali e internazionali, pubblicando articoli sulle maggiori riviste scientifiche del settore. Da qualche anno si occupa di comunicazione della scienza, anche sui social media (su twitter è @AlessAmato)

È noto come il rischio sismico sia determinato dalla combinazione di tre fattori: la pericolosità, l’esposizione e la vulnerabilità. Il primo elemento, la pericolosità, può essere stimato su basi geologiche, storiche, geodetiche, e non può essere ridotto in alcun modo.

Sugli altri due elementi si può intervenire, con metodi e tempistiche diverse, come l’uomo ha tentato di fare sin dall’inizio della sua lotta contro i terremoti. Nel corso di oltre duemila anni di osservazioni, ricerche, teorie più o meno fondate scientificamente, sono state fatte scoperte importanti, associate a una sempre maggiore efficacia delle tecniche di difesa.

Storicamente, gli sforzi della comunità scientifica si sono concentrati su due filoni principali di indagine. Se da un lato si sono compiuti molti tentativi volti a prevedere l’arrivo di un forte terremoto, per poter ridurre l’esposizione qualche minuto o qualche ora prima del possibile evento, dall’altro si è operato per ridurre la vulnerabilità degli edifici, con interventi normativi e ingegneristici proposti e applicati in varie regioni sin dall’antichità. Sul fronte della previsione i successi sono stati finora quasi nulli, mentre su quello della prevenzione l’adozione di serie politiche e buone pratiche ha dato risultati apprezzabili in molti Paesi.

I due percorsi non dovrebbero però intersecarsi, essendo il primo un tema eminentemente di ricerca (sui processi di preparazione dei terremoti) e il secondo una materia riservata a scelte politiche e cognizioni ingegneristiche. La sovrapposizione di questi piani di intervento ha condotto infatti a risultati nefasti: laddove si è investito sulla previsione, si è persa di vista la prevenzione. Pensiamo a quanto è accaduto nel 2008 in Cina, la patria della previsione, quando un forte sisma nel Sichuan provocò decine di migliaia di morti per il pessimo stato dell’edilizia, in primo luogo quella scolastica.

Questa breve riflessione si articolerà ripercorrendo qualche tappa di questo lungo cammino, concentrandoci sullo stato attuale della ricerca sui terremoti e sugli sforzi per incentivare le politiche di prevenzione. La ricerca si focalizza oggi su una sempre maggiore comprensione del fenomeno sismico, ed è effettuata attraverso esperimenti in laboratorio, perforazioni profonde di faglie, simulazioni al computer, l’acquisizione e l’analisi di dati di terreno e dallo spazio sempre più capillari e di migliore qualità. Sul fronte della prevenzione, avremo modo di analizzare qualche esempio virtuoso in Italia e in altri Paesi, soffermandoci sullo strumento più recente adottato dopo i terremoti del 2016 in Italia centrale, il cosiddetto Sismabonus.

Una menzione a parte meritano, nel campo della difesa dai terremoti (e dagli tsunami), i sistemi di allerta rapida (Early Warning, o EW), che permettono, in determinate condizioni, di mettere in atto delle misure di riduzione dell’esposizione (e quindi del rischio) subito prima che le onde sismiche o di maremoto colpiscano una regione. Per gli tsunami, tali sistemi sono già operativi in molti Paesi soggetti a questo rischio, fra i quali si annovera l’Italia (dal 2017). I sistemi di EW sismico, la cui utilità è resa critica dal tempo molto più breve a disposizione per difendersi rispetto a quelli per gli tsunami, sono operativi principalmente in alcune aree circumpacifiche dove i grandi terremoti si originano a distanze di centinaia di chilometri dalle coste (Giappone, Messico). Sono di più difficile realizzazione nelle regioni, come l’Italia, dove il rischio sismico è determinato principalmente da terremoti “piccoli” che provocano i maggiori scuotimenti - e quindi i danni - a breve distanza dalla faglia che li genera. Se ne sta tuttavia sperimentando l’applicabilità in alcune aree, grazie agli avanzamenti tecnologici e a reti sismiche sempre più capillari ed efficaci.

Un’ultima riflessione riguarderà l’importanza, ai fini di un’adeguata prevenzione, del grado di consapevolezza dei cittadini di fronte ai rischi. La reazione delle persone di fronte a un fenomeno sconosciuto e imprevedibile è spesso governata dalla paura. Questa può e deve essere vinta attraverso l’aumento della conoscenza: una corretta percezione del rischio e un atteggiamento responsabile sono il primo passo verso la riduzione degli effetti nefasti di un terremoto o di uno tsunami.

Bibliografia:

Sotto i nostri piedi. Storie di terremoti, scienziati e ciarlatani Codice

Colori profondi del mediterraneo Mostra fotografica a cura di Michela Angiolillo e Marco Pisapia. Foto di Simonepietro Canese - ISPRA

Come immaginiamo i fondali marini a 400 metri di profondità? Bui, desolati e privi di vita? Dobbiamo ricrederci! Il ROV (Remotely Operated Vehicle), un sofisticato robot filoguidato, in grado di navigare in prossimità del fondo marino fino ad altissime profondità, ha portato alla luce ambienti straordinari ed inattesi per la loro bellezza e ricchezza di specie marine, purtroppo deturpati dalla presenza di rifiuti e attrezzi da pesca abbandonati. Le esplorazioni condotte, in quasi 900 punti d'immersione lungo i mari italiani, hanno rilevato la presenza di veri e propri hotspot di biodiversità, caratterizzati dalle cosiddette foreste animali. Vedremo come le nostre azioni possano essere una vera minaccia per questi ambienti. Un viaggio alla scoperta di abissi finora mai esplorati.

Videografia:

COLORI PROFONDI DEL MEDITERRANEO SPOT

Colori profondi del Mediterraneo- documentario ISPRA