Abstract - OrvietoScienza 2014

Introduzione

I relatori di OrvietoScienza 2014 hanno predisposto degli abstract degli interventi in programma. Pensiamo di fare cosa utile mettendoli a disposizione degli studenti, come ausilio per preparare la loro partecipazione all'evento. In alcuni casi abbiamo anche cercato di corredarli di una bibliografia/sitografia.

Chiara Ceci Yes, we can. La comunicazione tra scienza e istituzioni - l’esperienza britannica

Tra i ruoli delle società scientifiche c’è quello di agire nel pubblico interesse come consulenti ai politici e governanti. Questo è possibile perché sono istituzioni indipendenti che raccolgono i maggiori esperti dei diversi settori, e non si tratta solo di individui provenienti dal mondo accademico ma anche dalle industria e imprenditoria.

Con il bagaglio di conoscenze ed esperienze che le società scientifiche incarnano, esse rappresentano una fonte di inestimabile valore nel processo politico dove posso fornire pareri informati e documentati.

Con alcuni esempi di campagne pubbliche e mirate ai parlamentari e ai cittadini racconterò di alcuni casi in cui le società scientifiche britanniche hanno agito da consulenti e riferimenti per il governo e il parlamento.

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Giuseppe O. Longo Quale etica per il post-umano?

Gli sviluppi più recenti delle tecnologie di punta (robotica, informatica, genomica, nanotecnologie) preludono all’avvento di un nuovo stadio evolutivo dell’umanità, il post-umano.

Il concetto di post-umano s’inquadra in una prospettiva storica che giunge fino ai nostri giorni e che comprende i millenari tentativi di costruire l’uomo artificiale e di conseguire l’immortalità. Oggi il post-umano si affaccia sulla scena del possibile attraverso alcune modalità molto concrete: la genomica, la simbiosi uomo-macchina, la robotica e la rete.

La manipolazione genetica consente di sostituire la lotteria cromosomica della riproduzione con la produzione dei figli in base a specifiche precise, che possono essere anche ereditate: si può parlare di uomo OGM.

Il cyborg deriva dall’ibridazione e dal potenziamento del corpo e della mente umana tramite l’inserzione di protesi artificiali migliorative che portano all’avvento di un vero e proprio simbionte uomo-macchina.

Il robot prelude alla sostituzione dell’essere umano con una macchina corporea e mentale tutta artificiale.

La rete aspira a unire ecumenicamente tutti gli umani e tutte le macchine in una creatura planetaria e supersocietaria dotata di intelligenza connettiva.

La tecnologia sta facendo uscire queste possibilità dall’ambito della speculazione per introdurle nella realtà. E ciò pone problemi filosofici e culturali, ma anche etici e sociali. In particolare il post-umano interpella la nostra sensibilità etica, ponendoci domande inquietanti: possiamo e dobbiamo opporci a questa deriva post-umanista? E in nome di che cosa? Dobbiamo tentare almeno di guidare e governare questa tendenza? E prim’ancora: che cosa propriamente distingue l’umano dal post-umano? Vi sono dei tratti essenziali, indisponibili, dell’uomo, manipolando i quali si ottiene una creatura non più umana?

Alla luce dei primi tentativi, già compiuti, di costruire una roboetica, cioè un’etica per una società composta da umani e da robot, si può prefigurare un’etica per i simbionti uomo-macchina e per la creatura planetaria?

Infine è necessario che le innovazioni tecno-scientifiche non siano guidate solo dall’inventiva e dall’ambizione dei ricercatori e dalla ricerca spasmodica del profitto da parte delle aziende, ma siano vagliate anche alla luce dei valori e delle aspirazioni della popolazione, evitando sia l’euforia tecnologica sia il rifiuto programmatico delle novità. Non basta sapere e saper fare più cose, è anche necessario che l’aumento delle conoscenze sia guidato da un’etica rispettosa dell’ambiente e dell’uomo e capace di declinare la nozione di sacro in modi nuovi, che tengano conto non solo del tumultuoso progresso della tecnica e delle capacità cognitive, ma anche delle esigenze di armonia, di bellezza e di rispetto che ciascuno di noi nutre nel profondo.

Bibliografia:

G.O. Longo Homo technologicus, Ledizioni, Milano, 2012

G.O. Longo Homo immortalis (con N. Bonifati) Springer, Milano, 2012

G.O. Longo Il simbionte. Prove di umanità futura. Mimesis, Milano, 2013

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Telmo Pievani Il nostro debito verso Henrietta Lacks

Nel 1951 una donna di colore di 31 anni, lavoratrice nelle piantagioni di cotone della Virginia, madre di quattro figli piccoli e quasi analfabeta, viene ricoverata al Johns Hopkins Hospital. Gli viene diagnosticata una forma molto aggressiva, e incurabile, di cancro alla cervice uterina. Poco prima della sua morte, i medici, senza chiederle il permesso e senza informarla, prelevano dal suo corpo alcune cellule tumorali. Messe in coltura, queste cellule riveleranno una proprietà straordinaria: riproducendosi indefinitamente e a tasso elevato, diventano la prima linea cellulare umana usata come standard di laboratorio nella ricerca oncologica in tutto il mondo. Più di 74.000 articoli scientifici vengono pubblicati, nei 60 anni successivi, utilizzando le immortali cellule di quella sfortunata donna afro-americana, Henrietta Lacks. Con le cellule HeLa sono state sperimentate non solo terapie oncologiche, ma anche vaccini. Oggi il caso inaspettatamente si riapre, perché gli scienziati stanno pubblicando il genoma delle cellule HeLa. I discendenti della signora sono preoccupati, perché immettere il DNA della loro nonna in una banca dati pubblica potrebbe rivelare alcune informazioni riservate sulle variazioni ereditarie presenti nella famiglia. Del resto, è pur vero che quelle cellule hanno avuto nel frattempo migliaia di generazioni e tantissime alterazioni genetiche si sono accumulate. Di chi sono realmente quelle cellule: dell'umanità, di Henrietta, della famiglia? Deve prevalere la trasparenza della ricerca scientifica o la tutela della privacy? Come possiamo mostrare la nostra gratitudine e restituire a Henrietta i suoi diritti, oltre che la sua memoria? Il National Institute of Health americano ha annunciato nell'agosto 2013 una decisione senza precedenti, con un forte carattere simbolico: non saranno riconosciute compensazioni economiche alla famiglia, ma la privacy sarà tutelata e due rappresentanti della discendenza di Henrietta faranno parte d'ora in poi del Comitato Etico che deciderà degli utilizzi delle cellule HeLa e del loro genoma. Tra la scienza e i cittadini, soprattutto se deboli e malati, deve esserci una fiducia reciproca e piena. Dignità e diritti delle persone possono e devono convivere con il valore inestimabile della ricerca scientifica, oggi più che mai minacciata dagli integralismi, dall'ignoranza e dall'indifferenza. La storia di Henrietta è finita nel 1951 ma in realtà continua ancora oggi e illumina il futuro con i suoi interrogativi bioetici.

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Luigi Pellizzoni Cittadinanza scientifica e partecipazione

L’idea di una ‘cittadinanza scientifica’, ossia di una più piena e soddisfacente partecipazione dei cittadini alle vicende della scienza nel momento in cui essa esce dal proprio ambito istituzionale per incontrare la società nel suo complesso, è da tempo al centro del dibattito. Punto di partenza è il riconoscimento che la scienza è andata assumendo un ruolo sempre più rilevante nella vita individuale e collettiva, e che tale rilevanza non può essere ignorata o affrontata caso per caso, ma richiede un ripensamento dei fondamenti del rapporto tra scienza e società. L’Unione Europea è tradizionalmente molto sensibile al tema – forse per via dei numerosi scandali che hanno incrinato la fiducia pubblica nella scienza (o più esattamente negli scienziati come esseri umani fallibili e sensibili alle lusinghe del denaro e del potere), e forse anche perché la sua legittimazione si fonda in modo consistente sull’attestazione di un’efficienza tecnica che dovrebbe supplire al deficit strutturale di rappresentanza politica. Non c’è dubbio, in ogni caso, che la cittadinanza scientifica abbia risvolti giuridici importanti, non solo perché il concetto stesso di cittadinanza si pone a cavallo tra politica e giustizia, appartenenza a una comunità e godimento di diritti (e soggezione ad obblighi), ma perché appunto evocando diritti e obblighi esso inscrive il rapporto tra scienza e cittadini nelle maglie e nelle logiche della legge.

L’espressione è tuttavia ambigua, o meglio polisemica. Se ne seguiamo gli usi, troviamo che ‘cittadinanza scientifica’ rinvia innanzitutto a una adeguata educazione e socializzazione alla scienza. Si collocano qui i periodici sondaggi che mostrano in genere lo scarso livello di conoscenze scientifiche dei cittadini. La medesima espressione compare poi con riferimento al tema dell’adeguata informazione del cittadino, sia come generico partecipante agli affari pubblici (e qui sono centrali la stampa e i media), sia come portatore di specifici interessi (il paziente, il lavoratore, il consumatore…) cui deve essere dato adeguato riscontro dalle controparti del caso. Cittadinanza scientifica significa infine coinvolgimento del pubblico nelle politiche della scienza. Qui il nesso con il concetto di partecipazione si fa più saliente, aprendo al contempo un vaso di Pandora. Che significa ‘coinvolgimento’? E riguardo a quali fasi o aspetti dell’attività scientifica? Le risposte (e le relative polemiche) si dispongono su un arco estremamente ampio, che va dalla collaborazione tra medico e paziente nella messa a punto di una terapia fino alla discussione pubblica degli indirizzi della ricerca. Nel mezzo sta una miriade di esperienze partecipative e di conflitti di cui è difficile anche solo fornire una mappatura.

L’intervento riflette su questo tema intricato utilizzando qualche segnaposto concettuale, nella forma di opposizioni o tensioni tra visioni o finalità contrastanti. La prima è tra ‘educazione’ scientifica e ‘competenza’ sull’interfaccia tra scienza e società. La seconda è tra divisione del lavoro e deliberazione pubblica, specializzazione delle abilità e dei compiti e ‘presa’ collettiva sugli esiti di tale specializzazione. La terza è tra scienza come impresa centrata sul sapere e come attività impregnata di assunzioni e immaginari su cosa sia buono, bello e desiderabile. La quarta è tra ‘scienziato’ ed ‘esperto’, ossia tra natura fallibilistica delle affermazioni scientifiche e necessità di dirimere quesiti concreti in un tempo definito – questione, questa, quanto mai centrale nel rapporto tra scienza e diritto. La quinta è tra conflitto e consenso, e più precisamente tra regolazione delle controversie e loro svuotamento nella ‘sovranità del consumatore’ o nella proliferazione dei comitati etici.

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Carlo Alberto Redi I media e la scienza negata

A mio giudizio il tema hot di questi mesi è, ancora e con un forte senso di disappunto, quello della scienza negata, negata dai media ! I casi di scienza negata in questi ultimi anni sono andati moltiplicandosi anziché scemare per una maggiore consapevolezza e competenza da parte dei divulgatori, basti pensare agli ultimi casi, freschi freschi di pochi mesi: il drammatico caso STAMINA e la querelle senza fine dei cosidetti animalisti, coloro che insistono a voler negare la evidenza della necessità della sperimentazione animale (certamente sotto rigoroso controllo) insistendo a chiamarla vivisezione (che è nella realtà, e giustamente, un crimine).

Un tentativo di fare chiarezza può essere quello lodevole di incontri come quello di Orvieto Scienza.

Comunque è chiaro che si deve esercitare una grande prudenza nel maneggiare lo strumento della divulgazione, cercando di evitare di cadere, magari involontariamente, nella diffusione un pò folkloristica della scienza (come talvolta mi è capitato di notare nel corso della “Notte dei ricercatori”) o nel fraintendimento.

I problemi di comunicazione della scienza ai “lay people” costituiscono un problema latu sensu politico. Il rischio di fraintendimenti non sta tanto nella cattiva volontà o nelle capacità di chi divulga ma nella recettività di chi ascolta, la cui mente è bombardata da messaggi molto eterogenei, discordanti e superficiali, su che cosa è la scienza e così nella mente del cittadino comune tutto si affastella, dalle responsabilità per aver tranquillizzato e non allarmato per il terremoto dell’Aquila, a mucca pazza, ai cambiamenti climatici, agli OGM, tutto finisce in un calderone dove non si capisce più nulla riguardo alle responsabilità di ciascun attore (decisore politico, divulgatore, scienziato). E’ di estrema rilevanza poi ricordare che il rischio di coprire con le modalità di comunicazione i problemi di contenuto è sempre in agguato ed è di particolare rilievo quidistinguere tra i "fatti asseriti" e "l'asserzione" di fatti (Amedeo Santosuosso). Si pensi agli ultimi (purtroppo non ….ultimi…. temo fortemente ne vedremo altri . . .) casi di asserzione di terapie cellulari mirabolanti (STAMINA) a base di mesenchimali, non provate, senza sperimentazione di efficacia e senza alcuna base di metodo scientifico alle spalle o di asserzioni di crudeltà inesistenti su poveri animali impiegati come oggetti nelle sperimentazioni scientifiche. Tutte queste affermazioni agiscono sui, e mutano i, nostri sentimenti morali: questo è il punto più cruciale su cui riflettere poiché da questi cambiamenti indotti ne derivano cambiamenti di azioni (su ciò che penso, su come mi esprimo a come decido di esprimere il mio voto alle elezioni). Tutti abbiamo diritto ai sentimenti morali, scienziati, giuristi, filosofi, lay people etc. (e qualcuno vi fonda anche l'etica, basata sulla repulsione che alcune forme di artificialità provocano), con una differenza però: chi fa il decisore politico, colui che elabora le norme e che le fa rispettare ha il dovere di cercare di riconoscere e analizzare i propri sentimenti morali e di non travasarli nel ruolo politico-istituzionale che queste persone ricoprono. Altrimenti i sentimenti morali non governati riverberano in modo disastroso sulla vita democratica di un paese: "Eluana Englaro uccisa e fatta morire di fame e sete" detto da un ministro che legittimamente ed a livello personale poteva anche credere ad una simile irreale situazione ma che non avrebbe mai dovuto fare propria come Ministro di un paese democratico.

Il fiorire di tentativi terapeutici sull’onda dei successi che la medicina rigenerativa basata su terapie cellulari ha dimostrato di produrre si basa sull’entusiasmo che questa prospettiva dimostratasi favorevole per alcune patologie possa vedere generalizzato il proprio paradigma biologico: sostituire cellule danneggiate o morte con cellule “nuove”, staminali. Deve essere però chiaro alla comunità medica dei terapeuti ed a quella degli uomini del diritto (chiamati sempre più spesso ad esprimersi circa la liceità di alcuni tentativi) che il corretto modus ponens, in particolare del medico e del magistrato che sono chiamati a prendere decisioni dirimenti, deve sempre essere quello di acquisire innanzitutto il dato biologico, tecnico, e sulla base di questo argomentare a favore o contro.

E’ necessario convenire su un modus ponens, altrimenti ci si perde in ingorghi di dati che seguono le più svariate logiche espositive. E’ universalmente accettato che alla base dei trattamenti medici (terapie) vi debbano sempre essere efficacia e sicurezza (in qualsivoglia scenario terapeutico, fatta eccezione per la efficacia nell’uso compassionevole dei farmaci), e vi sia la trasposizione dei risultati degli studi di laboratorio e sugli animali (pre-clinica) alla clinica. E’ con le evidenze cliniche (di fase I, II e III) che le prove pre-cliniche entrano in una filiera di sperimentazione tesa a indicare la sicurezza ed efficacia (ed eventualmente le controindicazioni) dei futuri trattamenti terapeutici basati su protocolli standard. Ora, nel caso specifico delle terapie che impiegano cellule staminali la trasposizione dei risultati sperimentali di laboratorio e su animali (prove pre-cliniche) della biologia di tali cellule è ben consolidata per alcune patologie (buona parte delle leucemie, grandi ustioni e cornea), è ancora in una fase preliminare (fase I) per altre (su tutte, infarto del miocardio, diabete e Parkinson) ed in una fase pre-clinica molto promettente per una miriade di altre patologie. In generale lo scenario terapeutico dei prossimi anni si presenta con grande ottimismo. E ciò è dovuto al fatto che le cellule staminali si rivelano sempre più in grado di essere manipolate biotecnologicamente ai fini di ottenere cellule di ogni tipo di tessuto e di mantenere le caratteristiche fenotipiche di ciascun tessuto colpito da degenerazione (per cause traumatiche, infettive o di senescenza).

La grande capacità di mostrarsi versatili ed adattabili ad assumere le caratteristiche specifiche di un dato tessuto anche quando prelevate da un altro tipo istologico e/o non da paziente rivela un potenziale rischio che i biologi non controllano ancora del tutto: quello della trasformazione neoplastica della cellula staminale posta al di fuori della nicchia istologica da cui proviene e il rischio di non controllare il “graft versus host disease” (malattia GvHD). E dunque una estrema cautela deve essere adottata quando si devii dallo schema prima ricordato e che a tutt’oggi si è dimostrato il più valido in termini di ragionevole confidenza di migliorare o guarire specifiche patologie salvaguardando al tempo stesso la salute in senso generale (minimizzare a livelli ritenuti accettabili gli eventuali effetti collaterali).

E dunque va precisato che ad oggi è incontestabile la assenza, nel panorama delle pubblicazioni scientifiche a livello internazionale, di dati relativi a sperimentazioni i cui risultati possano suggerire di trattare i piccoli pazienti con cellule staminali mesenchimali ematopoietiche.

Il grande ottimismo che pervade la medicina rigenerativa si basa su solide evidenze che sono ancora nelle mani dei biologi: è necessario ancora molto lavoro per abbreviare il tempo che passa tra la evidenza biologica e la sua applicazione al letto del malato. In questo scenario si aprono purtroppo le porte a fughe in avanti che speculano sulla sofferenza dei malati: è questo il caso della biologia delle cellule staminali ove centinaia e centinaia di cliniche sparse a livello internazionale offrono cure miracolose, a caro prezzo, per ogni tipo di malattia.

Biologi, biotecnologi e medici sono chiamati ad esercitare uno scrupoloso controllo sulle norme che presiedono alla produzione dei reagenti biologici di tipo cellulare, così come tutte le grandi agenzie regolatorie (Food and Drug Administration statunitense in primis) chiedono. Questi operatori tutti debbono attenersi in modo responsabile alle regole riconosciute della ricerca scientifica e non debbono cadere nella trappola della ricerca ad ogni costo della notorietà e del profitto. Con la complicità di media del tutto impreparati per quanto riguarda le conoscenze scientifiche e supponenti sotto il profilo della propria formazione giornalistica (Le Iene: perché non chiedere alle Accademie !?). Le premesse argomentative sono sempre le stesse: le cellule staminali si sono dimostrate capaci di “guarire” grazie a “terapie cellulari” dove la molecola del farmaco è sostituita dalla cellula integra e sana che va a rimpiazzare quella persa o danneggiata. Il che è vero. Ma lo è solo se si soddisfano tutti i criteri che assicurano l’igiene e il razionale della terapia. Non ci sono parole per l’igiene, ovviamente. Per il razionale della terapia cellulare a base di staminali è d’obbligo precisare che la funzione di staminalità è ancora del tutto da dissezionare in termini di riduzionistica capacità di manipolazione da parte degli sperimentatori: nella Biologia delle cellule staminali siamo ancora in una fase di totale sperimentazione ove accanto ad innegabili successi terapeutici regna una profonda ignoranza dei meccanismi ultimi che regolano la staminalità e la sua ripresa in cellule differenziate.

Un’ultima considerazione personale è poi legata da parte mia al principio di autodeterminazione del paziente in condizioni di fragilità decisionale, in questo caso rappresentato dai genitori in un contesto psicologico carico di emozioni che porta ad assumere decisioni in condizioni di incertezza, incapaci di realizzare lo sfasamento temporale tra il loro momento decisionale ed il momento in cui si realizza l’effetto della loro decisione. Prevale qui una distorsione di tipo cognitivo ed emozionale che riflette logiche e procedure di tipo intuitivo che identificano come “positive” le azioni mediche nel momento in cui se ne ha bisogno. La decisione dei genitori non risponde ad un calcolo basato su curve di indifferenza ma è soggetta ad illusioni ed errori di ogni tipo di strumento di previsione in condizioni di necessità. Questa situazione si lega poi purtroppo al fatto che con sempre maggiore frequenza alcun medici dimenticano che “scienza e coscienza” non sono un valido criterio per prendere decisioni se queste risultano più influenzate, basate su, da convinzioni personali (coscienza): scienza deve prevalere sempre, come Biologia insegna. La medicina è una applicazione tecnica che deve sempre basarsi sulle evidenze prodotte dalla Biologia, sarà poi la coscienza del medico ad applicarle nei modi più adatti alle situazioni contingenti.

Un secondo esempio di scienza negata è quello della sperimentazione animale contrabbandata per vivisezione ! Ed il recentissimo caso dell’assalto da parte di alcuni attivisti all’Istituto di Farmacologia dell’Università Statale di Milano è l’ennesimo caso di azioni criminose ai danni della ricerca e dell’avanzamento delle conoscenze in ambito biomedico.

Ci si ricorderà come anni fa negli aeroporti e stazioni ferroviarie fossero comparsi grandi cartelli che invitavano a rispettare gli animali. Sacrosanto. Vista la incivile abitudine di abbandonarli nel periodo estivo. Ciò che sconcerta e’ il decalogo che là veniva proposto: oltre a non mangiarli, l’invito a non impiegarli nella ricerca scientifica ! Cartelloni di diversi metri quadrati sparsi ovunque, volantini diffusi ovunque e messaggi martellanti: la gente “lay people” convinta che fosse pratica quotidiana in qualunque istituto di ricerca il compiere vivisezioni ! Situazione che si ripete oggi, basterà prendere visione di un giornale ad altissima diffusione come La Repubblica per trovare pagine intere di pubblicità a questo proposito. Nessuno che si preoccupi, come lamentava il Prof. Edoardo Vesentini, dell’Accademia Nazionale dei Lincei, (Nature, 422:467 – 468, 3 Aprile 2003), di consultare la comunità’ scientifica per sapere come le cose stanno nella realtà. Tutta questa situazione inevitabilmente determina un allontanarsi dei cittadini dal tema della ricerca, e ciò e’ gravissimo, ed e’ inoltre soprattutto un problema di cultura. Un grande genetista come Adriano Buzzati-Traverso agli inizi degli anni ’60 con una bellissima lettera dal titolo Chi vuole soffocare i laboratori ricordava che se gli italiani fossero intelligenti investirebbero in ricerca perché’ solo un paese che investe in ricerca e’ un paese in grado di promuovere occupazione e ricchezza. Se oggi è possibile affrontare con terapie efficaci tante malattie è grazie alla sperimentazione animale. Le conoscenze più' avanzate in ambito biomedico si basano sulla sperimentazione animale; e' questo un dato fattuale che non può essere disconosciuto. Ogni giorno vi sono 1000 insuccessi (e mille animali che muoiono) ed alla fine 1 solo successo, ma questo e' il modo intrinseco con cui procede la ricerca (genetica, farmacologia, studio del cancro, cardiologia). Si vada a BioMedNet e si scopriranno più' di 7500 modelli animali di patologie umane (www.informatics.jax.org: disordini neurologici, vari tipi di cancro, fibrosi cistica, distrofie muscolari). E’ grazie a questi modelli animali che si può sperare di curare le corrispondenti malattie dell’uomo (è ciò che di norma accade, basti pensare all’emofilia e al diabete). Dovremmo rinunciare ad impiegare questi animali!?

Non vi sono alternative valide alla sperimentazione animale: e' la storia della biologia e della medicina che lo dice. Centinaia di migliaia di persone che sarebbero morte vivono oggi una vita normale con il trapianto. Niente di tutto questo sarebbe stato possibile senza la ricerca sugli animali. Il primo ad essere preoccupato della salute degli animali e' il ricercatore che vede nel rispetto delle procedure di stabulazione e dei protocolli di utilizzo degli animali approvati dal ministero la vera garanzia della bontà dei dati ottenuti. Fra l’altro i ricercatori impiegano tutti i metodi disponibili (modelli matematici, cellule) e così il ricorso agli animali, col passare del tempo, diminuisce. Ma c’è un momento dello sviluppo delle conoscenze per cui non si va avanti senza sperimentazione animale. Se un farmaco fa sanguinare lo stomaco con quale metodo diverso dalla sperimentazione animale lo si stabilisce? C’è qualcuno disposto a sostenere che si debba provare subito sull’uomo? Per coerenza chi contesta la sperimentazione animale dovrebbero rinunciare ai farmaci a cominciare dall’aspirina. Chi sta soffrendo, perché non e’ stato fortunato alla roulette genetica, attende terapie e messaggi responsabili dai decisori politici. Negli USA nessun politico si sogna di fare affermazioni fuori luogo sulla ricerca scientifica (www.fundingfirst.org) e ci si batte per dimostrare ai propri elettori chi e’ più’ capace di far arrivare finanziamenti alla ricerca.

L’impiego degli animali nella sperimentazione biologica e medica è un argomento che nelle ultime decadi ha suscitato, giustamente, grande interesse per un vasto pubblico. E’ un argomento di enorme rilevanza e dunque è bene chiarire alcuni termini per non cadere in trappole linguistiche e culturali. Innanzi tutto è necessario precisare di che cosa si stia trattando: parliamo dell’impiego di mammiferi (ben meno di anfibi, rettili ed uccelli) per la ricerca pre-clinica (i.e., prima dell’impiego sull’uomo) sulla tossicità, efficacia, efficienza e in generale di sicurezza di diverse tipologie di interventi legati all’impiego di metodiche, dispositivi e molecole al fine di ottenere dati utili alla trasposizione (per quanto possibile in sicurezza) all’uomo di quelle metodiche o farmaci o dispositivi medicali (e.g., valvole, protesi, etc) per la cura di malattie. E dunque va subito precisato per non falsare un necessario ed utile confronto di posizioni che purtroppo molti degli attivisti contro l’impiego degli animali nella ricerca biomedica usano il termine “vivisezione” in modo del tutto inappropriato. La vivisezione è una pratica criminale, vietata da molti decenni dalla legge e che oggigiorno ha, per fortuna, solamente un significato storico. E’ un termine carico di emotività che viene associato ad immagini terribili di cani, gatti ed altri animali variamente massacrati (immagini di cui non è nota la provenienza) e che dunque impressiona il grande pubblico, al punto che diversi noti uomini dello spettacolo svolgono campagne per l’abolizione dell’impiego degli animali nella sperimentazione dicendo che va abolita la vivisezione (campagne per la giornata dell’abolizione della vivisezione, in pratica per proibire l’impiego degli animali). Questo tipo di confronto non aiuta in alcun modo a sviluppare un utile dibattito tra i cittadini, mistifica ed inganna sulla situazione che in realtà è presente nei laboratori di ricerca ove l’impiego degli animali è fatto in base a rigorose norme di protezione della salute degli animali con protocolli che debbono giustificarne l’impiego, aperti alle frequenti ispezioni provinciali e ministeriali, capaci di assicurare l’assenza di dolore e, se necessaria, la soppressione in totale anestesia. Alcuni luoghi comuni vanno sfatati. L’impiego degli animali è ben più costoso dei sistemi in vitro (sulle cellule) e ben più lungo: lo svolgimento di saggi sulla oncogenesi di una molecola può costare anche tre miliardi di euro su animali contro una trentina di milioni se svolta su cellule, può durare tre – quattro anni contro le sei – otto settimane di quella in vitro ! Inoltre non va dimenticato che il benessere dell’animale è un importantissimo fattore della sperimentazione al fine della riproducibilità stessa della sperimentazione, senza la quale i dati non potranno mai essere pubblicati. La storia dell’umanità ci dice che il loro impiego è un dato storico e che nel corso dei secoli l’impresa scientifica si è fatta carico del problema e lo sta risolvendo: dagli anni ’60 del secolo scorso l’impiego degli animali si è più che dimezzato e la tendenza è proprio in questa direzione. Furono W. M. Russel e R. L. Burch nel 1959 a proporre il principio delle 3 R per l’impiego degli animali (Replacement, Reduction, Refinement - rimpiazzo, riduzione e migliori condizioni di vita), principio pienamente recepito dall’ultima direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 settembre 2010 sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici (Direttiva Europea 2010/63) e fatta propria dall’ultima direttiva italiana del gennaio 2013 (che così modifica il precedente DDL 116 del 18/2/92). E però, purtroppo, ora peggiorata in senso del tutto “casuale”! Si capisce che non vi è grande competenza da parte degli estensori delle norme (una serie di divieti assurdi sotto il profilo scientifico ma di grande appello per elettori disinformati!). Questa direttiva è stata studiata a lungo, discussa in molte sedi istituzionali, politiche e scientifiche, anche in Italia, ed il testo finale è un corretto compromesso tra la necessità della sperimentazione animale e il rispetto per gli animali. La normativa europea deve essere, quindi, recepita dall'Italia senza ulteriori appesantimenti e restrizioni che pongano ancora una volta limiti non razionali alla ricerca scientifica italiana e alle sue ricadute anche economiche.

A titolo di promemoria storico varrà la pena di ricordare che l’unico paese al mondo che abbia proibito del tutto la sperimentazione animale è stata la Germania nazista ! e varrà la pena chiedersi come avremmo mai potuto sviluppare la teoria dei germi se Pasteur non avesse potuto iniettare antrace nelle pecore o eradicare la poliomielite se non avessimo potuto usare gli animali per sviluppare dei vaccini.

Da qualche decennio gli animalisti cercano di impedire o di interferire in vario modo con la sperimentazione animale. Ultimamente, i loro interventi, la loro propaganda, la loro presenza nel mondo politico-amministrativo, e persino nell’Università, sono diventati preoccupanti. Oltre il 50% delle conoscenze scientifiche in base alle quali un medico può esercitare la sua professione sono fornite dalla sperimentazione animale. Inoltre, la notevole espansione delle ricerche biomediche a livello cellulare, verificatasi negli ultimi decenni, non ha ridotto come sopra ricordato la necessità della sperimentazione animale. Infatti, parte delle informazioni acquisite dalla ricerca cellulare devono essere verificate nell’organo o nell’animale prima di poter essere utilizzate in medicina. Inoltre, molte indicazioni sulla tossicologia di sostanze chimiche utilizzate in medicina e nelle varie produzioni industriali non può essere definita senza un ricorso alla sperimentazione animale, come anche richiesto dalla legislazione. Infine, la simulazione modellistica può dare utili indicazioni,ma non può sostituire la sperimentazione diretta. Ciò non riguarda soltanto i farmaci, ma anche la ricerca di base. Sarebbe, quindi, opportuno chiedere agli animalisti se quando si ammalano si rivolgono a un medico. Occorre, pertanto, controbattere la propaganda, fare conoscere la realtà e impedire l’interpretazione faziosa delle norme da parte di alcuni funzionari delle Università e delle Aziende Sanitarie Locali. Ed in particolare chiedere agli operatori e professionisti dei media di non cadere nella trappola del titolone accattivante perché è poi di queste informazioni “modificate” che si nutre il decisore politico italiano (con rarissime eccezioni !).

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